lunedì 31 dicembre 2007

Risposta a Ste sul commento di Gabri

Tutti i nostri post, scritti già un po' di tempo fa, sono frutto di riflessioni realizzate durante le prime riunioni della nostra Associazione. Questo è il principio di "cultura" che abbiamo cominciato a condividere e che, ora come ora, è diventata la base del nostro lavoro. Recentemente lavoriamo per la costruzione di una cultura comune, ma nonostante i gruppi di discussione fossero una delle nostre idee principali, non sono ancora stati realizzati, e sarebbe un'ottima iniziativa da appoggiare! L'importante è che alle discussioni seguono poi un fare: scrivere articoli, produrre documenti, progettare, ecc.... Scriveteci se volete avere una maggiore informazione sul nostro lavoro o se avete idee nuove.. e sicuramente siete invitati ai vari eventi che organizziamo. La nostra mail è: differentita@yahoo.it

Nel mentre approfitto di questo spazio per augurarvi a tutti

Buon fine anno e Buon Inizio!!!

sabato 29 dicembre 2007

Scuola popolare "Cascina La Ghiaia"

L'arrivo alla Cascina La Ghiaia mi è parso come un ritorno nel passato, quando le colline erano ancora abitate e vissute da contadini come i miei nonni che coltivavano e allevavano per autosostenersi e tutto il resto del mondo aveva poco senso senza la loro terra.
Ma Lina Ferrero è diversa e lei ha posto un senso nella sua vita al di fuori della sua preziosa terra: aiutare le persone che non riescono a dar significato alla situazione che vivono.
Dopo esserci saziati con la deliziosa cucina di suo figlio nell'Agriturismo Bella Ciao, l'abbiamo raggiunta nella "sua cucina"... ovvero nel luogo dove lei accudisce i suoi tre figli disabili in affido e pratica la scuola popolare oltre al lavoro di campagna. Cresciuta in una famiglia povera e laureatasi in Pedagogia, parte per l'Argentina, dove conosce Freire e i suoi seguaci e insegna l'educazione attraverso la pragmaticità: l'educazione che libera dall'ignoranza chi vive in miseria e gli permette di prender coscienza della propria situazione riscattando così la propria vita. Viene rimpatriata dal regime argentino mentre i suoi compagni spariscono nel nulla diventando"desaparecidos". Si sposa con un suo compaesano e insieme aprono la propria casa a chi non riesce ad accedere all' istruzione e insegna loro ad essere critici, partendo dalla comprensione degli elementi basilari della propria vita.... il suo motto è: il programma che lo Stato impone alle Scuole si può rispettare insegnandolo in modo diverso, cioé partendo dalla realtà in cui è immersa la persona, proponendogli così degli strumenti per comprendere sia il proprio mondo, sia la cultura che sta acquisendo.
La vita di Lina è stata ben descritta da questo articolo http://malgretout.collectifs.net/article.php3?id_article=86. Ma molto più importante è raccontare cosa ci ha detto. In un anno di Associazione ci siamo un po' smarriti e arrestati tra la burocrazia e le Istituzioni con i loro muri insormontabili e la nostra vita occupata da un lovoro abbastanza faticoso ed estenuante. Questa piccola donna ci ha rincuorato e ci ha ridato sogni e speranze, così come ce l'avevamo all'inizio del nostro cammino. Ci ha chiesto: "Come mai un gruppo di giovani che ha tanta voglia di fare come voi.. che vuole cambiare il presente.. non ha ancora fatto nulla". E noi ci siamo guardati con sorpresa e smarrimento e il nostro sguardo comunicava quella mancanza di senso e di significato che si nota sul volto dei nostri coetanei. Successivamente abbiamo provato a cercarne uno. Per darci un'idea di come avremmo potuto superare quegli ostacoli e quelle muraglie che tanto ci scoraggiano, ci ha raccontato di come i ragazzi degli anni '70 lavorarono: laddove vedevano che c'era un bisogno intervenivano, senza dover attendere il "sì" delle grandi istituzioni. Agire e basta. Il riconoscimento delle Istituzioni non aveva importanza, perché nell'immediato erano scesi per strada ed avevano proposto ai poveri quel paio di occhiali con cui poter decifrare il mondo e da lui riscattarsi. Un lavoro che impegna tutta la vita ma che ridà la sensazione di essere umano in quanto ti riconosci nell'altro e lo aiuti ad autopromuoversi in questo tempo dove tutto sembra aleatorio. L'Oggi ti obbliga ad essere flessibile proponendoti situazioni di precariato e impossibilitandoti a progettare a lungo termine, costringendoti a lavorare per l'emergenza e non per il futuro; cosicchè per i nostri figli prepariamo un mondo senza progetti che possiede unicamente il presente. Ci ha ribadito: "eppure una volta rischiavamo la fame, il lavoro, ecc... ora non si è più disposti a fare tutto ciò. Perché?" Perchè... io, personalmente, risponderei... perché ci hanno abituati ( e ci siamo lasciati abituare) alla "puzza" dei soldi e al "benessere economico" e ci siamo convinti che sono questi i veri valori che danno significato alla nostra vita. Ora, la perdita di questi equivalgono alla perdita di senso. Ma noi, nonostante possediamo tutto questo, ci sentiamo vuoti e la nostra vita ci appare priva di sgnificato, e mi chiedo: sono dunque giusti questi valori? Lei ci ha ridato la speranza di poter cambiare le cose... perché lei (74 anni) lo fa ancora... e ci ha consigliato la tecnica giusta, cioè...... agire: pensare, progettare, ma soprattutto AGIRE. Su queste parole ci stiamo muovendo ora. Ci siamo fissati un appuntamento a Gennaio, dove le porteremo un nuovo progetto a lungo termine da attuare come Associazione "Differentità -Identità Differenti-" e da lì continueremo il nostro cammino con una grinta diversa.

Meditate, non placatevi

My favourites,
ecco un piccolo articolo di Padre Basilio, chi non ne sà ed è interessato, dica.
Davide Sprocatti

40anni dalla morte L’insegnamento di don Milani



A 40 anni dalla sua morte, molte sono state le iniziative per capire la figura di don Lorenzo Milani molto controversa agli occhi di quanti, con spirito di parte, si sono accostati alla sua testimonianza di vita. "Indegno di appartenere all'Italia", gli ex combattenti; "ribelle", la curia fiorentina; "comunista", i giornali di destra; "pericoloso", il Sant'Uffizio; "classista", l'Osservatore
Romano; "innovatore", le aule didattiche ed educative. Di lui si può dire tutto, in positivo e in negativo, ma non lo si potrà mai capire, in senso pieno, se non dopo aver scoperto il motivo profondo che lo ha spinto ad agire: la sua libertà di spirito, dote irrobustita dall'incontro con il suo
Maestro divino, a cui affidò la sua libertà, coniando il motto che da quel momento avrebbe segnato tutto il corso della sua vita: "Servo di Cristo e di nessun altro". Don Milani era un uomo
profondamente libero. Libero di dire alla sua Chiesa, che chiamava "Matrigna": obbedisco, nonostante la sua "Ditta" lo emarginasse, da spingerlo, all'età di 40 anni, a pensare al
suicidio, come risulta da uno scritto all'amico e padre spirituale, don Bensi. I suoi genitori sognavano per lui la professione medica, ma lui si iscrisse all'accademia di Brera, perché voleva
diventare un pittore. Senza il loro parere, decide di entrare in seminario. Mandato alla parrocchia di San Donato di Calenzano su richiesta del Prevosto, di "uno che sappia dir Messa e
confessare", si impegna a tirar su la scuola popolare. Isolato a Barbiana, con l'intento curiale di "addormentarlo", fonda la scuola alternativa a quella che lui definisce "un ospedale che cura i sani e respinge i malati". Invitato a lasciare la diocesi assieme al suo confratello don Borghi, a causa delle loro contestazioni, ci resta e si impegna contro i cappellani militari che ritenevano
l'obiezione di coscienza un'"espressione di viltà", beccandosi denuncie, processi, lettere anonime
con ingiurie e minacce di morte. Se il suo vescovo gli ordina di non pubblicare i suoi scritti senza il suo consenso, sotto la sua guida fa scrivere ai ragazzi: "Lettera a una professoressa".
Ciò che spingeva don Milani ad agire in modo così deciso e temerario, era la sua libertà interiore: "Una qualità morale - scrive monsignor Ravasi - che si conquista e si perfeziona ogni giorno... con un esercizio severo che suppone riflessione, volontà, coraggio.
Che significa rischiare persino di andare controcorrente, forse anche in mezzo al sarcasmo o alle beffe". Don Milani aveva di mira non la carriera, il quieto vivere, una pensione serena, scelte egoistiche di chi ha deciso di vivere solo per se stesso. Aveva di mira solo di "volare" e di "far spiccare il volo" ai pedoni che incontrava, senza lasciarsi tarpare le ali, insegnar loro a rifiutarsi
di restare pedoni per timore di chi, per chissà quale mandato divino, aveva deciso di sezionare la società in "cretini" e intelligenti, ricchi e poveri, padroni e servi.
Cosciente della sua dignità di uomo, si sentiva chiamato da Dio a dare il suo apporto alla redenzione dei fratelli che incontrava o che gli venivano affidati dai suoi superiori. Grazie al suo
impegno e al suo contributo, la scuola è cambiata, l'obiezione di coscienza si è affermata, la distanza tra le autorità religiose e politiche e i loro collaboratori si è accorciata, anche se,
certi titoli da sapore medioevale: Eminenza, Eccellenza, Monsignore..., titoli che il nuovo vescovo di Città di Castello, Domenico Cancian, definisce "non molto evangelici" ( La Voce del 2 Novembre, pagina 11), stanno ancora lì a segnare la linea di demarcazione che separa chi ha ricevuto più responsabilità da chi ne ha ricevuta meno, ma tutti ugualmente responsabili
della diffusione del Vangelo.
A 40 anni di distanza dalla morte di don Lorenzo Milani, cosa ci resta del suo insegnamento, della sua testimonianza?
Direi, un richiamo a noi tutti a "spiccare il volo", a non rimanere "pedoni". A usare la libertà interiore per volare alto, senza lasciarsi tarpare le ali della propria dignità da quanti pretendono, con la scusa di servirci, di asservirci per giustificare le loro difficoltà umane e deficienze spirituali.
Essere servi di Cristo, sì, ma di lui solo, l'unico vero uomo che ha saputo per prima servire e dare la vita per gli uomini. Servi suoi e non di altri, è il messaggio che don Milani ci ha lasciato, frutto della sua libertà interiore mai narcotizzata dalle lusinghe del quieto vivere, di cui spesso noi, inconsapevoli pedoni, facciamo fatica a rinunciare.

Padre Basilio Martin
fonte www.tuttogubbio.it – 15/12/2007